I rischi del Payback
Il payback sui dispositivi medici: il punto della situazione.
Massimo Riem – Presidente FIFO (2018 – 2023)
Micaela Grandi – Avvocato
Giorgio Sandrolini – Imprenditore
Il quadro sintetico della normativa
1 – La fissazione di un tetto alla spesa in dispositivi medici
La legge 111/2011 art.17, di conversione del D.L. 98/2011, ha introdotto un tetto alla spesa pubblica in dispositivi medici. Fissato originariamente al 5,2% del Fondo sanitario ordinario (FSO), il tetto in questione è stato successivamente oggetto di ripetute revisioni al ribasso che l’hanno portato dapprima al 4,9%, poi al 4,8% e infine al 4,4% a decorrere dal 2014. La logica di tali revisioni è sempre stata di natura contabilistica, mai economica, ovvero ha sempre significato dare una copertura puramente sulla carta alle varie ipotesi finanziarie che si sono succedute prescindendo da valutazioni riguardanti la congruità del tetto rispetto ai livelli di assistenza da assicurare. La misura del tetto, per come si è arrivati a determinarla, rappresenta dunque un primo problema.
2 – L’introduzione del payback in caso di sforamento del tetto
Con la Manovra finanziaria 2015, venne stabilito che, in caso di sforamento del tetto da parte di una regione, una parte (pari al 40% nel 2015, al 45% nel 2016 e al 50% a decorrere dal 2017) della spesa in eccesso dovesse venir rimborsata dalle imprese fornitrici (ciascuna pro-quota verosimilmente in base all’incidenza percentuale del proprio fatturato sul totale della spesa nella regione in questione[1]). E questo in analogia al meccanismo del payback già in vigore per la spesa pubblica farmaceutica (introdotto dalla Manovra finanziaria 2007).
3 – Gli Accordi Stato-Regioni sulla spesa sanitaria 2015-2019
Dopo cinque anni dalla sua introduzione, durante i quali il payback è rimasto inapplicato nel settore dei dispositivi medici, nel 2019 Stato e Regioni hanno raggiunto due Accordi, relativi rispettivamente alla spesa per gli anni 2015-2018 e a quella del 2019, con cui sono stati definiti i criteri di individuazione dei tetti di spesa nazionale e regionali e le modalità di stima degli eventuali sforamenti[1].
La spesa effettiva in dispositivi medici, in particolare, è stata calcolata sulla base dei costi rilevati a consuntivo dal conto economico (modello CE) consolidato regionale nella voce BA0210, per quanto riguarda gli anni 2015-2018, e sulla base dei dati risultanti dalla fatturazione elettronica di ciascuna azienda (al lordo dell’IVA e specificando separatamente il costo del bene e quello del servizio[2]) per quanto riguarda il 2019.
Si attendono ora i decreti del Ministero della salute che certifichino gli eventuali sforamenti del tetto di spesa a livello regionale nei vari anni[3] e quindi un nuovo Accordo Stato-Regioni sulle modalità dei relativi ripiani che potrebbe segnare l’avvio dell’applicazione del payback.
[1] Si veda al riguardo il comma 9 dell’art. 9-ter del Dl. 78/2015 – “Ciascuna azienda fornitrice concorre alle predette quote di ripiano in misura pari all’incidenza del proprio fatturato sul totale della spesa per l’acquisto di dispositivi medici a carico del Servizio sanitario regionale” – citato tra le premesse degli Accordi Stato-Regioni che avviano l’applicazione del meccanismo del payback per i dispositivi medici (cfr. nota successiva).
[2] Cfr. rispettivamente Rep. Atti n. 181/CSR e Rep. Atti n. 182/CSR del 7 novembre 2019.
[3] Le modalità di corretta fatturazione, cui sono tenuti gli enti sanitari regionali e i fornitori di dispositivi medici, sono specificate in apposite Circolari del MEF e del Ministero della Salute, l’ultima delle quali è la circolare n. 7435 del 17 marzo 2020.
[4] Secondo le disposizioni della legge di bilancio 2019 (L. 145/2018, art. 1, c. 557) tale decreto deve essere emanato entro il 30 settembre di ciascun anno. Nell’Accordo stato regioni relativo al 2015-2018 non si fa riferimento a tale termine, che viene invece confermato in quello relativo al 2019. E’ stabilito, inoltre, che mentre la “rilevazione per l’anno 2019 è effettuata entro il 31 luglio 2020” quella per “gli anni successivi, entro il 30 aprile dell’anno seguente a quello di riferimento”.
La stima dell’impatto del payback 2015-2020 sulle imprese
Sulla base dei dati resi pubblici dalla Corte dei Conti (che, per quanto riguarda i tetti di spesa 2015-2020, ha ripreso quelli dei due Accordi Stato-Regioni sopracitati), FIFO ha stimato lo sforamento della spesa e il payback a carico delle imprese fornitrici del SSN.
La tabella 1 riporta le stime relative al quadro nazionale. In particolare:
- la spesa è cresciuta nell’arco di tempo considerato del 18,3%, passando da 5,8 miliardi di euro nel 2015 a 6,8 nel 2020. Nell’ultimo anno, in particolare, la spesa è cresciuta del 7,3%, pari in valore assoluto a oltre 460 milioni di euro;
- Dati i tetti lo sforamento complessivo è cresciuto nell’arco dei sei anni considerati sia in valore assoluto che in percentuale della spesa ammessa. Come apparirà più chiaro quando esamineremo la situazione regionale, lo sforamento totale riportato nella tabella non deve essere inteso come “semplice” differenza tra la spesa complessiva a livello nazionale e il corrispondente tetto definito, bensì come somma degli sforamenti stimati a livello regionale. Ciò precisato, lo sforamento è cresciuta da più di 1 miliardo di euro nel 2015, pari al 21,7% della spesa ammessa, a oltre 1,6 miliardi nel 2020, ossia al 31% del tetto;
- Di conseguenza è cresciuto l’onere per il ripiano a carico delle aziende, anche per via dell’incremento della percentuale di sforamento della spesa posto a loro carico: complessivamente il payback che le aziende sono tenute a pagare ammonterebbe alla cifra “monster” di 3,6 miliardi di euro, che confrontata alla spesa annua pubblica in dispositivi medici ne rappresenta ben oltre il 50%
Sottolineiamo che, al di là di ogni altra considerazione, il fatto che si tratti di importi così elevati rispetto all’intero mercato non può non gettare più di un dubbio riguardo alla congruenza, ovvero alla sostenibilità, sia della misura del tetto di spesa (vedi punto 1 alla pagina precedente), sia della misura del payback che sono stati disposti.
Tabella 1 – Sforamento nella spesa a livello nazionale e relativo al payback complessivo
Valori in milioni di euro e in %
Tetto di spesa | 4.800 |
Spesa effettiva | 5.782 |
Sforamento (min. euro) | 1.041 |
Sforamento (in %) | 21,7 |
Payback | 416 |
Fonte: Elaborazioni FIFO Sanità su dati Corte dei Conti (2020, 2021) e Accordi Stato-Regioni 2019
Tetto di spesa | 4.856 |
Spesa effettiva | 5.838 |
Sforamento (min. euro) | 1.052 |
Sforamento (in %) | 21,7 |
Payback | 474 |
Fonte: Elaborazioni FIFO Sanità su dati Corte dei Conti (2020, 2021) e Accordi Stato-Regioni 2019
Tetto di spesa | 4.925 |
Spesa effettiva | 5.986 |
Sforamento (min. euro) | 1.105 |
Sforamento (in %) | 22,4 |
Payback | 553 |
Fonte: Elaborazioni FIFO Sanità su dati Corte dei Conti (2020, 2021) e Accordi Stato-Regioni 2019
Tetto di spesa | 4.962 |
Spesa effettiva | 6.226 |
Sforamento (min. euro) | 1.287 |
Sforamento (in %) | 25,9 |
Payback | 643 |
Fonte: Elaborazioni FIFO Sanità su dati Corte dei Conti (2020, 2021) e Accordi Stato-Regioni 2019
Tetto di spesa | 5.011 |
Spesa effettiva | 6.430 |
Sforamento (min. euro) | 1.419 |
Sforamento (in %) | 28,3 |
Payback | 710 |
Fonte: Elaborazioni FIFO Sanità su dati Corte Conti e Accordi Stato-Regioni
Tetto di spesa | 5.261 |
Spesa effettiva | 6.842 |
Sforamento (min. euro) | 1.642 |
Sforamento (in %) | 31 |
Payback | 821 |
Fonte: Elaborazioni FIFO Sanità su dati Corte dei Conti (2020, 2021) e Accordi Stato-Regioni 2019
La tabella 2 riporta lo sforamento, in valore assoluto e in percentuale del tetto di spesa, a livello regionale. A tale riguardo si sottolinea che, a parte la Basilicata che è “in regola” solo nel 2016, le sole regioni la cui si spesa si mantiene al di sotto di quella ammessa per più di un anno sono la Lombardia, il Lazio, la Campania e la Calabria. La Lombardia, in particolare, sfora il tetto solo nel 2019 – di appena l’1,8% – mentre nel 2020, è una delle otto regioni che registrano una riduzione della spesa[1], con la conseguenza che la “percentuale di rispetto” del tetto raggiunge il valore più alto dell’intero periodo esaminato (7%). Lazio e Campania, a loro volta, mostrano uno sforamento, peraltro modesto, solo nell’ultimo biennio considerato: il Lazio, in particolare, nell’ultimo anno registra una crescita della spesa del 7,9% e uno sforamento contenuto e inferiore al 3% del tetto.
Le restanti regioni riportano sistematici e importanti sforamenti annui. Tra queste si segnala la Toscana che registra lo sforamento complessivo più levato, pari a circa 1,3 miliardi di euro. Si segnala inoltre che mentre nel triennio 2017-2019 aveva registrato una spesa in eccesso di oltre il 70% di quella ammessa, nel 2020 la Toscana riduce tale scostamento a poco meno dei due terzi, in linea con le risultanze del biennio 2015-2016. Al contrario, in Emilia-Romagna la spesa in eccesso raggiunge nello scorso anno la percentuale più alta, quasi il doppio di quella del biennio precedente.
[1] Le altre regioni sono Molise (-6,7%), Sardegna (-2,2%) Calabria (-1,4%), Puglia (-1%), Umbria e Basilicata (-0,2% ciascuna) e Abruzzo (-0,1%).
Tabella 2 – Lo sforamento della spesa a livello regionale
Valori in milioni di euro e in %
Richiamato ciò, non può sfuggire il fatto che è impossibile leggere, in chiave di efficienza-inefficienza nella spesa, il quadro degli sforamenti in questione nelle varie regioni. Il fatto ad esempio che Toscana ed Emilia Romagna – regioni peraltro tra le più attive nella centralizzazione degli acquisiti, tra le migliori ad assicurare i LEA ai propri cittadini, tra quelle a maggior presenza di erogatori pubblici rispetto ai privati accreditati – insieme abbiano accumulato quasi il 27% dell’intero sforamento nazionale nel quadriennio preso in esame non può assolutamente essere letto come indice di una minore efficienza nella spesa in dispositivi medici; e, fatte le dovute differenze, lo stesso dicasi per regioni come Veneto, Friuli Venezia Giulia e altre ancora.
Non è difficile immaginare che proprio la maggior presenza di erogatori pubblici rispetto ai privati accreditati risulti determinante in Toscana ed Emilia-Romagna nello spiegarne gli sforamenti dei rispettivi tetti di spesa. A questo proposito, infatti, si ricorda che in base al Dl. 78/2015 (comma 1 lettera b art. 9-ter) i tetti regionali avrebbero dovuto essere individuati coerentemente con la composizione pubblico-privata dell’offerta in ciascuna regione, la qualcosa invece poi non è avvenuta.
La tabella 3 mostra i conseguenti payback regionali a carico delle imprese fornitrici.
Tabella 3 – Payback Regionali
Valori in milioni di euro
Fonte: elaborazioni FIFO Sanità su dati Corte Conti (2020, 2021) e Accordi Stato-Regioni 2019
La posizione di FIFO Sanità
FIFO Sanità è convinta che il meccanismo del payback sia fortemente vessatorio nei confronti delle imprese fornitrici. Queste partecipano a gare pubbliche, per la gran parte centralizzate ovvero soggette a fortissima concorrenza sui prezzi, nelle quali è la stazione appaltante a quantificare il proprio fabbisogno, a stabilire se le offerte ricevute sono congrue e infine a scegliere tra di esse quella che meglio la soddisfa; e una volta aggiudicatasi una gara, un’impresa non ha alcuna possibilità di cessare la fornitura, anzi è per legge tenuta a non interrompere il proprio servizio.
In questo contesto il payback è un escamotage per non pagare (facendoselo rimborsare) una parte del prezzo precedentemente pattuito e contrattualizzato a valle di una gara pubblica nella quale, come detto, è la Pubblica Amministrazione a fissare tutti i parametri. Esso finirebbe per impattare pesantemente sulla remuneratività delle forniture andando così a scontrarsi con il consolidato principio giurisprudenziale per cui gli appalti pubblici devono pur sempre essere affidati a un prezzo che consenta un adeguato margine di guadagno; questo anche perché forniture non remunerative, ovvero non sostenibili, per le imprese affidatarie finirebbero per ritorcersi sia su queste ultime, sia sulla Pubblica Amministrazione stessa.
Se il payback venisse effettivamente implementato nel settore dei dispositivi medici colpirebbe indiscriminatamente comparti molto diversi tra loro (essendo questo settore in particolare, a differenza del farmaceutico, estremamente eterogeneo e frammentato), così che anche le imprese che avessero visto contrarsi il proprio mercato e/o il proprio fatturato negli ultimi anni verrebbero comunque chiamate contro ogni logica a rimborsarne una parte.
Si aggiunga che il payback, se penalizza le grandi imprese multinazionali, porterebbe addirittura alla chiusura molte PMI italiane che hanno nel mercato domestico il loro unico mercato di sbocco. Si tratta di aziende che rappresentato il 95% del tessuto imprenditoriale italiano del settore e dei relativi occupati.
Infine si sottolinea come ormai dal 2014 il bilancio complessivo del SSN si mantenga in sostanziale equilibrio economico[1]; e questo dato di fatto rende ancora più incomprensibile il mantenimento in vigore del payback.
[1] Cfr. “I Piani di Rientro della sanità regionale: quali risultati finora?” di Massimo Bordignon, Silvia Coretti e Gilberto Turati, 5 agosto 2019 su https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-i-piani-di-rientro-della-sanita-regionale-quali-risultati-finora.
Ricapitolando quindi:
Il payback è stato introdotto con riferimento a un tetto base di spesa a livello nazionale che a sua volta è stato fissato senza alcun fondamento di analisi:
- a livello regionale il suddetto tetto base avrebbe dovuto essere declinato tenendo conto della composizione pubblico-privata dell’offerta in ciascuna regione, la qualcosa invece poi non è avvenuta;
- le considerazioni precedenti rendono oggettivamente impossibile leggere in chiave di efficienza/inefficienza nella spesa i casi di rispetto/sforamento dei tetti regionali e questo porterebbe a distorsioni nei comportamenti pubblici di acquisto;
- la misura della quota di spesa che verrebbe in tal modo posta a carico delle imprese è talmente elevata da risultare insostenibile per molte di esse;
- tenuto conto delle tante regole che le imprese sono chiamate a rispettare sia in fase di partecipazione a una gara, sia nella fase successiva di fornitura, il payback appare un escamotage della Pubblica Amministrazione per non pagare una parte del prezzo di beni e servizi regolarmente fruiti;
- impattando quindi pesantemente sulla remuneratività delle forniture, il payback va a scontrarsi con il consolidato principio giurisprudenziale per cui gli appalti pubblici devono pur sempre essere affidati a un prezzo che consenta un adeguato margine di guadagno alle imprese affidatarie;
- andando a colpire mercati con dinamiche molto diverse tra loro, il payback penalizzerebbe contro ogni logica sia le imprese che avessero visto il proprio mercato/fatturato crescere, sia quelle che avessero visto il proprio mercato/fatturato contrarsi.
Per tutti questi motivi FIFO Sanità chiede la cancellazione del payback.